J. Grotowski (Per un teatro povero)
Il teatro, mio primario ambito di formazione, ha per sue caratteristiche intrinseche una natura terapeutica.
Lo è per chi lo guarda, per l’effetto catartico di cui parlava Aristotele, e lo è per chi lo fa, attore, regista o scenografo che sia. Come afferma J. Grotowski quando parla di un teatro povero, possiamo togliere tutti gli elementi scenici, e ridurre il teatro a questo: il rapporto dinamico che esiste tra attore e spettatore.
Per questo il teatro ha molto a che fare con il modo di funzionare della nostra mente, un palcoscenico interno su cui i nostri pensieri e le nostre emozioni trovano il loro luogo deputato alla rappresentazione. Come nei sogni.
Mi piace utilizzare le tecniche teatrali attive ed espressive come strumento per aiutare le persone a scoprire le proprie potenzialità nascoste, per mettere a fuoco alcune ripetizioni del proprio copione di vita (E. Berne) e alcuni personaggi interni che influenzano o costringono le persone in ruoli ormai inattuali.
Con la forza del piccolo gruppo di lavoro, all’interno di una relazione terapeutica, è possibile “giocare” (recitare e giocare in inglese sono la stessa parola, to play) per cercare un cambiamento.
Il corpo è lo strumento principe di questo lavoro, adatto a chi abbia già avviato un percorso terapeutico oppure a chi voglia sperimentarsi in una situazione di gruppo mettendo a fuoco un tema personale.
Il lavoro si svolge durante seminari esperienziali intensivi di una giornata, e può essere approfondito in un eventuale lavoro individuale successivo o viceversa, da un percorso individuale è possibile accedere ad un gruppo.