Fare amicizia con la propria rabbia
In questo momento di incertezza ed emozioni alterne, imparare ad accogliere e curare la propria rabbia può essere fondamentale. Possiamo farlo anche grazie allo sguardo di un film come "Un amico straordinario": un'occasione per riflettere insieme sulle ferite intergenerazionali e la possibilità di "lavorarci" per ripartire a costruire un futuro senza "eredità emotive" dolorose e disfunzionali.
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Fare amicizia con la propria rabbia

Se non avessi ricevuto un “bidone” da amici invitati a cena in un sabato sera, a causa di una febbre improvvisa, non avrei potuto gustare un film fuori dall’ordinario come “Un amico straordinario”https://www.youtube.com/watch?v=q7plrMPzYl4.

La cautela nelle uscite mondane che l’emergenza sanitaria in atto ci impone, non sempre è svantaggiosa.

Come in questo caso.

Il film  è un vero elogio della gentilezza e della pazienza verso se stessi e verso gli altri, come lavoro quotidiano sull’emozione della rabbia,  una rabbia covata da tempo e che è diventata tossica. 

E non è solo per la maestria con cui Tom Hanks interpreta un uomo in tarda età che il film ci cattura nonostante i suoi tempi lenti,  rispetto a quelli  cui siamo abituati oggi. E’ la mescolanza di linguaggi che ci attrae, linguaggi adatti ai bambini come le parti cantate o l’uso dei modellini plastici delle città. Come a sancire che il tempo si è fermato o che eternamente si ripete. L’esclamazione “Misericordia!” usata da Tom Hanks-Fred Rogers di fronte alle sofferenze altrui è un’altra parola desueta, eppure curativa: ci colloca nella dimensione dell’empatia che muove ad operare, che nel curare l’altro cura noi stessi. 

La lentezza narrativa ci dà infatti il tempo di entrare nei personaggi, di assaporarne la storia, le motivazioni.

C’è un vecchio presentatore televisivo, un giornalista sofferente, non più giovane e neo-padre, un piccolo neonato inconsapevole e tenero, sempre presente, come a dire che la vita si ripete e che va guardata, accarezzata, coccolata, perché è eternamente fragile.

Il film parla infatti anche di generazioni a confronto, di ferite tra padri e figli e soprattutto della capacità di un uomo in tarda età, di continuare ad essere PADRE anche per chi figlio biologico non è, un uomo che sente la necessità di guarire la ferita della rabbia per riaccendere la vita, un sorriso, riportare lo sguardo su un futuro possibile: restare connessi, anche con le proprie difficoltà.

Non finirò mai di ringraziare la regista Marielle Heller per la delicatezza femminile del suo sguardo: quanti sguardi dei diversi personaggi ci restano impressi, per la forza con cui ci dicono “Ti vedo, esisto per te e tu esisti per me”. Eric Berne, padre dell’Analisi Transazionale, ha parlato di forme di riconoscimento primarie nella relazione di cura, prima fra queste la potenza dello sguardo, che avvia un primo contatto diretto nella relazione e ce ne fa gustare il sapore.

La storia, di Fred Rogers realmente esistito, si apre proprio con lo sguardo di uno straordinario attore e non solo “amico” nel titolo: Tom Hanks. La scena iniziale lo dimostra: lo vediamo entrare in casa sua parlando, cantando, mentre si toglie una giacca, si infila un cardigan con cerniera, si sfila scarpe di cuoio e si infila scarpe con i lacci che allaccia a tempo di musica, con parole che si danno appuntamento con gesti ben precisi. 

La scuola degli attori americani… che delizia!

E che potente messaggio per imparare a comprendere e gestire la propria rabbia!